Berna, 4 maggio 2019 - Il pomeriggio, liquidate le questioni statutarie, l’assemblea dei membri ASNI offre ogni anno dei punti di vista interessanti, esposti da altrettanto interessanti oratori. Quest’anno, ha accettato l’invito a esprimersi l’ex consigliera federale Micheline Calmy-Rey. Questa ha poi lasciato il palcoscenico a un’interessante discussione di gruppo nella quale, una volta tanto (al contrario di quanto succede presso la televisione di Stato) il fronte a favore dell’accordo-quadro e quello contrario erano equamente rappresentati ognuno da due persone.
Hans-Peter Portmann, consigliere nazionale PLR, e Monika Rühl, direttrice di economiesuisse, hanno fatto fatica a far capire in sala che l’accordo-quadro sarebbe una buona cosa e rafforzerebbe la sovranità della Svizzera.
Il moderatore, Reto Brennwald (ex-conduttore di Arena presso la SRF) ha avuto molto da fare per mantenere in qualche modo la discussione e l’atmosfera in sala su un livello civile. Ha svolto la sua parte in modo eccellente, facendo del dibattito il punto focale della giornata.
Monika Rühl ha argomentato in modo chiaro, comprensibile, tranquillo e coraggioso – aveva 800 persone contro, e l’ha immediatamente realizzato dopo frasi come: «L’accordo-quadro porta all’economia svizzera l’importante certezza del diritto e l’accesso al mercato. E con esso non cediamo alcuna sovranità a Bruxelles.» (rumorose proteste in sala).
Hans-Peter Portmann, con lunghe e in parte paternalistiche spiegazioni, ha dato un’impressione piuttosto incolore: «Di principio, la democrazia non è minacciata, anche se rinunciamo alla sovranità.» Ha utilizzato statistiche e cifre, ma non è riuscito molto a conquistare interesse e rispetto per la sua posizione.
I «gladiatori» critici verso l’UE avevano la sala dalla loro parte.
L’ex-consigliere federale Christoph Blocher: «Solo un cieco o un sordo può dire che la democrazia diretta non è minacciata dall’accordo-quadro. Attenzione ai ragionamenti sofistici. L’iniziativa contro l’immigrazione di massa era stata adottata come un chiaro mandato. Ma poi a Berna hanno fatto una legge che non cambia nulla. Dietro a ciò c’è una volontà dei governanti. I governanti non vogliono la democrazia diretta, perché non vogliono che il popolo s’immischi. Solo che una volta non lo dicevano così spudoratamente – oggi sì.» Il direttore della Weltwoche, Roger Köppel, ha impostato una linea chiara: «Prendo atto che la signora Rühl e il signor Portmann non vedono più che cosa c’è all’origine del nostro successo in Svizzera. Ossia, che noi Svizzeri abbiamo stabilito noi stessi quali leggi valgono qui. L’accordo-quadro vuole che cediamo tutto questo ad altri. Per un paio di possibili vantaggi a breve termine, delle persone come queste due qui sul palco intendono cedere la nostra sovranità. E non si tratta solo di benessere, bensì anche di pace sociale. Il PLR (sebbene non tanto la sua base) e molti altri nella Berna federale sono oggi gli affossatori del modello di successo Svizzera.»
Il moderatore Sennwald ha poi interrogato Monika Rühl, sul fatto che anche a degli esponenti dell’economia non piacerebbe che il popolo s’immischi regolarmente: «Lei che cosa ne dice, signora Frau Rühl?» – «Con tutta la buona volontà, non riesco a vedere il crollo della democrazia diretta.» E ha enumerato le possibilità di partecipazione che la Svizzera avrebbe e quanto lunga sarebbe l’attuale lista delle votazioni da affrontare. Ha quindi cercato di evidenziare i suoi punti. «Si tratta di una ripresa dinamica del diritto in cinque accordi concreti. Sì, in questi settori cambia qualcosa, si tratta di una ripresa dinamica del diritto che rafforza la sovranità.» – urla dalla sala… – «Rimarremmo sovrani, perché potremmo partecipare allo sviluppo di questi accordi – cosa che oggi non ci è permessa. E, una volta che l’accordo arriva dall’UE, ne segue la normale procedura in Svizzera: Consiglio federale, Parlamento, votazione.»
A Christoph Blocher non è innanzitutto piaciuto che Rühl esprimesse la sua posizione come quella dell’«economia svizzera». «Signora Rühl, non dica ‹l’economia›. Anch’io sono Economia, e non sostengo l’accordo-quadro. Anche l’industria orologiera – e di certo non solo il signor Hayek – non lo sostiene.» – Rühl: «Io parlo per i nostri membri, ne abbiamo discusso approfonditamente, e rappresento l’opinione della grande maggioranza di economiesuisse.» – Blocher: «Sì, sì, per i manager di grandi gruppi, che non pensano a lungo termine, che vogliono delle agevolazioni immediate. Ma noi non vendiamo i nostri prodotti svizzeri perché ci adeguiamo incondizionatamente a qualsiasi legge, bensì perché abbiamo dei buoni prodotti! La signora Calmy-Rey, pur non essendo una borghese, è tuttavia onesta. Anche lei la vede così. L’accordo-quadro non è la continuazione della via bilaterale, bensì la sua fine.»
Brennwald, dopo questo acceso incrocio di lame («esplosioni retoriche»), ha voluto sapere quale fosse allora l’alternativa all’accordo-quadro.
Christoph Blocher: «Non fare assolutamente niente. Stare seduti qui e continuare a lavorare con gli accordi esistenti. Sì, c’è un minimo rischio, per esempio con l’accordo sugli ostacoli tecnici al commercio, di dover regolare singolarmente alcune norme. A lungo termine, tuttavia, le relazioni dirette senza accordo-quadro ci porteranno di più.»
Qui di seguito, interventi individuali e temi emersi dalla discussione:
Sulla minaccia dell’UE di estromettere la Svizzera dai programmi di ricerca,
Christoph Blocher: «Il denaro che la Svizzera pompa nei programmi di ricerca dell’UE, sarebbe meglio speso se investito direttamente nella nostra ricerca. Per me, inoltre, la ricerca non deve essere fine a sé stessa, ma avere lo scopo di raggiungere risultati concreti.»
Sui diversi punti di vista, a seconda del mondo in cui ci si muove,
Hans-Peter Portmann: «Sapete, io viaggio spesso all’estero, ho regolari colloqui con le commissioni avverse di Bruxelles e di altri gremii esteri. E posso dirvi che non siamo più stimati all’estero. In Corea del sud, in Sudafrica, negli USA o in qualunque altro paese. Non abbiamo più gli atout di un tempo.» (coro di proteste) Roger Köppel ha dovuto qui puntualizzare: «Signor Portmann, un consiglio: non parli unicamente con questi burocrati UE in sale conferenze climatizzate.»
Sulla questione se la Svizzera sia così piccola nei confronti di una così strapotente UE, Roger Köppel: «Per l’UE si tratta di potere. Ma non è una novità nella storia europea. Nel 19° secolo, la pressione sulla Svizzera era enorme, c’erano eserciti alle frontiere. Si legga il terzo volume dell’opera ‹Geschichte des Kantons Zürich in drei Bänden› (Storia del canton Zurigo in tre volumi). E, caro PLR, smettila di correre a nasconderti ogni volta che Juncker alza un sopracciglio.»
Christoph Blocher: «Che interesse avrebbe l’UE a punirci, in modo che non possiamo più vendere? La Svizzera è un ottimo cliente dell’UE. Un cliente, fra l’altro, che paga; e l’UE non deve prima accordarci dei crediti affinché possiamo pagare le sue fatture. Per quanto riguarda lo strumento di pressione dell’equivalenza borsistica: ci sono anche voci che dicono di lasciare che le cose vadano in questo modo, perché così la borsa svizzera si rafforzerebbe di nuovo, piccola e con successo.»
Sulle vere motivazioni dell’UE, Roger Köppel: «Che cosa vuole l’UE? Ha detto, nel 2008, basta con questa via bilaterale, ‹il Consiglio federale ci ha promesso che la Svizzera viene nell’UE, ma essa non viene. Adesso facciamo diversamente.› Juncker dice che la Svizzera è un’assurdità geopolitica. Manfred Weber, possibile successore di Juncker, parla di Svizzeri testardi contro cui si devono usare le maniere forti. Bastone, frusta – QUESTO è l’accordo-quadro – un trattato di sottomissione. La Svizzera deve essere disciolta nell’UE fino a perdere qualsiasi peculiarità. Anche Micheline Calmy-Rey dice che l’accordo-quadro priva la Svizzera della libertà.»
Perché la popolazione svizzera discute così attivamente sull’accordo-quadro…
«Il grande merito dell’ASNI, e anche di Cristoph Blocher e del suo Comitato EU-NO, è di aver fatto sì che questo accordo-quadro non fosse in qualche modo contrabbandato attraverso la porta di servizio. Adesso, quali parlamentari, dobbiamo assicurarci che ci sia un referendum obbligatorio.
Alla fine della giornata, rimane sempre la domanda: chi comanda in Svizzera? Sicuramente non è vero, come scrive la NZZ, che la Svizzera non sia una «Willensnation». (Ma cosa sta succedendo alla NZZ?) La Svizzera è una «Willensnation»! Signore e signori, dovete difendere la democrazia diretta!»