Il patto globale ONU sulla migrazione è tema di discussione per la prossima sessione delle Camere federali. Questo trattato internazionale, appartenente alla scivolosa stirpe degli strumenti normativi non vincolati o “soft law”, è stato negoziato sotto l’egida dell’ONU la cui Assemblea generale ha provveduto all’approvazione in data 19 dicembre 2018. Solo all’apparenza innocuo, questo patto tra Paesi si pone l’obiettivo di uniformare le regole dell’immigrazione internazionale e le relative legislazioni nazionali. Poco importa se alcuni non finiranno di sminuire la portata di queste convenzioni, gli obiettivi, ben 23, sono chiari e precisi. Talmente puntuali che nessuno può legittimamente ritenere che siano stati declinati per puro e semplice piacere di incontrarsi a Marrakech in un tiepido giorno d’inverno. Non nascondiamoci, i Governi degli Stati sottoscriventi si impegnano a rispettare un obbligo “morale” di orientare le proprie leggi nazionali verso quelle che sono definite le “buone pratiche” enunciate nel trattato. Una moralità che viene rafforzata dalla volontà dell’ONU di istituire un Forum internazionale sulla migrazione che avrà il compito di esaminare ogni quattro anni gli sforzi intrapresi dalle nazioni firmatarie al fine di adeguarsi a quanto sottoscritto. Fra i punti più controversi, almeno ai miei occhi, figurano frasi declamatorie quali: migliorare la disponibilità di percorsi migratori, facilitare l’accesso all’aiuto sociale e ai programmi d’integrazione professionale, semplificare le norme per il ricongiungimento familiare e limitare la libertà di stampa sul tema immigrazione. Care e cari membri dell’ASNI, con questo patto siamo di fronte al primo atto di una “libera circolazione globale” senza regole ma con solo buoni auspici, che metterebbe il nostro Paese, quale destinazione privilegiata per i migranti, inevitabilmente e pericolosamente sotto pressione. Il Consiglio federale, ancora una volta in spregio della nostra democrazia diretta, ha deciso tuttavia di incamminarsi verso la sottoscrizione del patto globale ONU, in netta contrapposizione con l’articolo 121a della Costituzione federale, approvato dalla maggioranza del Popolo e dei Cantoni il 9 febbraio 2014. La nostra Costituzione parla chiaro e pone inequivocabili e inderogabili principi: l’immigrazione nel nostro Paese deve essere gestita in maniera autonoma e la sottoscrizione di trattati in contrasto con questa autonomia sono vietati. Ancor più grave è il fatto che il Consiglio federale si serva di una furbizia legislativa per impedire al Popolo svizzero di avere voce in capitolo. Presentato sotto forma di decreto federale semplice non è infatti possibile lanciare un referendum sul trattato. La battaglia per una gestione autonoma dell’immigrazione da parte della Svizzera si sposta ora in Parlamento dove ci impegneremo a fondo affinché il nostro Paese non si impegni in ipocrite strade senza ritorno.
Marco Chiesa, Consigliere agli Stati TI e Presidente UDC Svizzera