Consigliere agli Stati Marco Chiesa, Vicepresidente dell'ASNI:
La prassi vuole che i nuovi eletti durante la prima sessione del Consiglio degli Stati non prendano parola, ma il tema della libera circolazione e dei suoi effetti sulla popolazione del canton Ticino non può aspettare. Il momento è ora ed alcune riflessioni devono essere pur portate alla vostra attenzione. Mi riferisco in particolare alle condizioni in cui versa il mercato del lavoro a sud delle Alpi, alle difficoltà che quotidianamente incontrano i residenti e alla pressione sui salari a seguito del diffuso dumping salariale.
Dall'entrata in vigore della libera circolazione i lavoratori frontalieri del settore terziario sono nientemeno che raddoppiati. Oggi sono circa 70 000 le persone che varcano ogni giorno il confine fra la Svizzera e l'Italia. Qualcuno ha provato a dipingere di rosa questa evoluzione parlando di dinamicità economica, ma subito ha dovuto buttare la tela perché in una decina d'anni il rischio di povertà è nettamente aumentato. I sottoccupati sono raddoppiati toccando quota 20 000, il numero delle persone in assistenza è esploso e l'effetto di sostituzione non è più contestato da alcun partito, mentre i contratti normali sono già 17 che è di gran lunga il record svizzero.
In Ticino le misure di accompagnamento, nella migliore delle ipotesi, fanno il solletico. Per questo i miei concittadini, consci dell'impossibilità di fermare un'emorragia con un cerotto, non hanno mai sostenuto questo accordo bilaterale e hanno chiesto a gran voce la reintroduzione di contingenti, tetti massimi e la preferenza indigena. "Prima i nostri" non è un grido di battaglia partitico, è un'esigenza della popolazione che ha subito e sta ancora subendo il furto del proprio futuro. Conosco padri di famiglia disperati perché temono ogni giorno di essere lasciati a casa, magari sostituiti da giovani leve italiane, o perché alle prese con dei figli formatissimi che non trovano un primo posto di lavoro. Guardate che non sto caricaturizzando la situazione ticinese a sostegno della mia tesi, ossia quella della necessità di disdire un accordo che mette in ginocchio la nostra popolazione. E il fatto che oggi sieda qui al Consiglio degli Stati piuttosto che al Consiglio nazionale mi sembra già sufficientemente indicativo della mia buona fede.
Il Ticino vuole infatti restare una parte della Svizzera e non diventare una protesi della Repubblica italiana. Per questo motivo, quale rappresentante del mio cantone sosterrò, con grande convinzione, la disdetta dell'accordo sulla libera circolazione delle persone.
La prassi vuole che i nuovi eletti durante la prima sessione del Consiglio degli Stati non prendano parola, ma il tema della libera circolazione e dei suoi effetti sulla popolazione del canton Ticino non può aspettare. Il momento è ora ed alcune riflessioni devono essere pur portate alla vostra attenzione. Mi riferisco in particolare alle condizioni in cui versa il mercato del lavoro a sud delle Alpi, alle difficoltà che quotidianamente incontrano i residenti e alla pressione sui salari a seguito del diffuso dumping salariale.
Dall'entrata in vigore della libera circolazione i lavoratori frontalieri del settore terziario sono nientemeno che raddoppiati. Oggi sono circa 70 000 le persone che varcano ogni giorno il confine fra la Svizzera e l'Italia. Qualcuno ha provato a dipingere di rosa questa evoluzione parlando di dinamicità economica, ma subito ha dovuto buttare la tela perché in una decina d'anni il rischio di povertà è nettamente aumentato. I sottoccupati sono raddoppiati toccando quota 20 000, il numero delle persone in assistenza è esploso e l'effetto di sostituzione non è più contestato da alcun partito, mentre i contratti normali sono già 17 che è di gran lunga il record svizzero.
In Ticino le misure di accompagnamento, nella migliore delle ipotesi, fanno il solletico. Per questo i miei concittadini, consci dell'impossibilità di fermare un'emorragia con un cerotto, non hanno mai sostenuto questo accordo bilaterale e hanno chiesto a gran voce la reintroduzione di contingenti, tetti massimi e la preferenza indigena. "Prima i nostri" non è un grido di battaglia partitico, è un'esigenza della popolazione che ha subito e sta ancora subendo il furto del proprio futuro. Conosco padri di famiglia disperati perché temono ogni giorno di essere lasciati a casa, magari sostituiti da giovani leve italiane, o perché alle prese con dei figli formatissimi che non trovano un primo posto di lavoro. Guardate che non sto caricaturizzando la situazione ticinese a sostegno della mia tesi, ossia quella della necessità di disdire un accordo che mette in ginocchio la nostra popolazione. E il fatto che oggi sieda qui al Consiglio degli Stati piuttosto che al Consiglio nazionale mi sembra già sufficientemente indicativo della mia buona fede.
Il Ticino vuole infatti restare una parte della Svizzera e non diventare una protesi della Repubblica italiana. Per questo motivo, quale rappresentante del mio cantone sosterrò, con grande convinzione, la disdetta dell'accordo sulla libera circolazione delle persone.